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domenica 4 novembre 2018

L'Infinito

Un lungo giro a piedi durante una domenica di ottobre. Una bella giornata, il sole abbastanza velato dalle nuvole, o piuttosto foschia, ma sembra quasi estate: le nuvole in cielo sembrano vapori di piena estate, esco senza problemi in bermuda.

Passo per una strada carrozzabile che corre, con molte curve, in mezzo a un bosco; è una strada quasi sempre deserta, perché conduce a un piccola frazione abbastanza isolata, senza altri collegamenti con altri centri abitati che quella strada e un sentiero, che in questa domenica ho intenzione di percorrere. Cammino guardando per terra, come mio solito, a tratti alzo la testa e osservo il muro di alberi alla mia destra; all’improvviso sento un campanile battere le due. Tra gli alberi alla mia destra intravedo la valle più in basso: da quel poco che intuisco, il sole si è fatto largo tra la foschia e la valle sembra brillare di un’estate fuori stagione. Non so che campanile abbia suonato: da altri punti imprecisati, altri campanili battono la stessa ora. All'improvviso sono trasportato molto indietro nel tempo, negli anni della mia infanzia, o poco più in là, quando sognavo paesi scintillanti sulle colline, città ridenti sotto il sole, una vita piena e bella, piena di avventure che mi avrebbero condotto alla felicità e bella perché vissuta nella serenità e nella gioia. Il tempo in quegli attimi è scomparso, e la sensazione di essere catapultato indietro in un’epoca in cui la speranza e l’ottimismo, pur molto minori rispetto ad oggi, avevano un sapore che oggi rimpiango, perché erano impregnati di ingenuità e spensieratezza, mi ha sopraffatto nella sua semplicità e nella sorpresa di cosa non cercata.

Mentre torno indietro, verso casa, alla fine della passeggiata, mi siedo su una panchina per riposare, su un piccolo spiazzo contornato da una chiesetta, alcune case e campi. È una delle mete preferite delle mie escursioni casalinghe. Contemplando i dintorni di quel luogo scorgo paesini adagiati sulle colline boscose, in lontananza: non sono nemmeno sicuro di che paesi si tratti. Un’altra sensazione molto forte mi prende l’animo: il tempo si ferma, non scorre più, gli orologi non hanno più senso, né lo scorrere delle stagioni: è un eterno pomeriggio, un'eterna stagione in cui non sai se è autunno o estate, un assaggio di eternità, sono un fuggevole assaggio, ma reale e concreto al mio spirito.

Dopo pochi minuti, il momento più difficile: prima o poi l’incanto si deve spezzare, non si può rimanere eternamente in estasi nell’eternità. Devo alzarmi e rientrare a casa, ma con nel cuore una goccia di Infinito.


Il sole pallido e velato
ma caldo
mentre sono per strada.
Battono le due
e la valle tutta
risuona di campane diverse,
ognuna con la sua voce.

Domenica in cammino,
una sterminata estate in ottobre.
La valle è mia,
mi appartiene fin dall’infanzia.

Cammino per strada e nel tempo
fino a che il tempo non si cancella.


Giacomo Tessaro

mercoledì 31 ottobre 2018

Tao

Immensa Via primigenia
portami lì dove i passi non servono più.

Valle oscura e profonda
come un grembo.

Non so se per raggiungerti
devo incamminarmi
oppure restare nella mia stanza.

Ma questo so:
che la meta che intravedo da lontano
in realtà è il luogo in cui sto.



Giacomo Tessaro

martedì 30 ottobre 2018

Fratello di disabile? Cosa vuol dire?

Propongo, con qualche revisione e aggiunta, un mio scritto di qualche anno fa su un'esperienza umana particolare, quella di fratello/sorella di persona disabile, spesso in Italia chiamati Siblings (la parola inglese che designa sia il fratello che la sorella).

Essere fratello di un fratello disabile è un mestiere che nessuno ti insegna. In realtà questa è una cosa ovvia, ma quanti di voi hanno mai pensato a una cosa del genere? Quanti possono dire di avere fatto questa esperienza? Faccio fatica a dire, quando accenno al fatto che ho un fratello, che è “disabile”. Non sempre me la cavo bene nella comunicazione verbale, e così butto lì la sua disabilità in maniera brusca, senza nessi apparenti con il tema del discorso. Il fatto che il fratello è disabile dovrebbe cambiare qualcosa all'universale esperienza di essere fratello? A naso direi di sì, ma è una mia idea: le persone che conoscono me e non conoscono mio fratello non sanno nulla di questa esperienza, di questa variazione del tema dell'essere fratello, e così non dicono nulla, solitamente sembrano non recepire l'informazione e ci passano sopra, al massimo mi chiedono cosa fa o cos'ha (ed è tutt'altro che facile da spiegare, anche se mi sono nel tempo preparato una risposta standard). Molti non lo vengono nemmeno a sapere perché, come dire, l'informazione non sembra attinente alle nostre conversazioni: raramente parlo della mia famiglia e il mio grado di apertura su questo argomento varia a seconda della sensibilità e del vissuto dell'interlocutore.



Le persone che conoscono superficialmente me e bene mio fratello sono in grado di intuire qualcosa, ma dubito che colgano veramente qualche aspetto del nostro rapporto, così non dicono nulla in proposito, anche perché raramente mi capita di parlare con loro: la rete di rapporti di mio fratello, oltre ad essere molto più estesa della mia (perlomeno all'interno del paese in cui viviamo) è anche e soprattutto nettamente distinta: difficilmente frequentiamo gli stessi ambienti, e credo che, in questa seconda categoria, siano numerose le persone che mi guardano con una certa diffidenza. Sono quindi molte le persone che frequentano mio fratello e non me, e mi piacerebbe sapere cosa pensano davvero di lui, intavolare uno scambio di idee alla luce delle diverse esperienze (di fratello e di amico o conoscente o parente meno stretto), ma a dire il vero non ci tengo particolarmente a contattarle, così rimango nella mia relativa incertezza, ben sapendo che mio fratello si fa benvolere quasi da tutti, quando non viene preso in giro o non gli partono i cinque minuti. Mi fa piacere che queste persone siano generalmente in grado di gestire il rapporto con un disabile intellettivo, sebbene non eccessivamente problematico come mio fratello. Poi ci sono le persone esperte in tema di disabilità (terapisti ed educatori) che hanno a che fare con lui, che raramente conoscono me se non di vista o di nome, con le quali quindi è un po' difficile lo scambio di opinioni vista la mia assoluta riservatezza nei confronti di chi frequenta mio fratello (vedi sopra). Devo dire anche che questa categoria di persone mi mette alquanto in soggezione e mi fa rinunciare in partenza a una possibile amicizia; probabilmente, queste mi guardano con ancora maggiore diffidenza della seconda categoria.



Con qualche rara persona, rara perché preziosa, riesco ad aprirmi senza remore e con gioia; adoro parlare di mio fratello anche se lo faccio assai di rado. Devo scegliere bene le persone con cui farlo e non posso permettermi molti sbagli: sono sensibile ai fallimenti. Possono conoscerlo o meno, ma meglio meno (vedi sopra il punto riservatezza). Non occorre per forza vivere in prima persona tale esperienza se si ha una mente e un cuore preparati e intelligenti. Credo che chi accetta mio fratello così com'è sarà meglio preparato ad accettare i difetti e le mancanze di qualsiasi persona, quelle piccole disabilità che tutti noi abbiamo ricevuto alla nascita oppure abbiamo sviluppato con il passare del tempo. Chi dice di accettare me ma poi non accetta mio fratello, al contrario, credo che accetti solo una parte ben delimitata di me, spesso troppo stretta e tendenziosa, e non voglia vedere il quadro generale di quello che sono. Sono convinto che questa sia una conclusione anche troppo ovvia per un fratello o una sorella di persona disabile; chissà quanti di noi ci sono dovuti arrivare da soli, nella solitudine e nell'incomprensione, a seguito di amare esperienze. Mi auguro però che questa sia una conclusione davvero condivisa, che unisca noi fratelli e sorelle (siblings) e ci unisca ai nostri fratelli e sorelle, noi che sappiamo cosa sia questa esperienza così diversa.    

Per saperne di più:

https://www.disabili.com/aiuto/articoli-qaiutoq/28164-siblings-quando-ad-avere-una-disabilita-e-il-fratello-

https://www.disabili.com/aiuto/articoli-qaiutoq/siblings-vuol-dire-solo-fratelli-e-sorelle

www.siblings.it

Giacomo Tessaro

sabato 2 giugno 2018

Cura amorevole

Dio che sei Amore e Dea che sei Cura Amorevole, il nostro egocentrismo appanna il nostro spirito e getta un’ombra sulle nostre parole e azioni; fa’ che raggiungiamo un equilibrio tra la contemplazione dei tesori della nostra interiorità e le esigenze d’affetto e di aiuto che il prossimo ci pone davanti. Ci hai posti qui, in questa vita, non solo per realizzare noi stessi, ma anche per aiutare altri a vedere dentro di sé le ricchezze della propria anima. Rendici in grado di essere una benedizione per alcune persone, se non ci sarà concesso esserlo per il mondo intero, e non farci trascurare i nostri fratelli e sorelle animali e vegetali: anche loro hanno bisogno della nostra amicizia e benevolenza. Non farci dimenticare la Terra, che è il Tuo corpo, la Tua forma che a noi è dato percepire. Donaci la capacità del rispetto e della cura amorevole, perché tutto questo sei Tu ed è in Te, come sei anche in noi.

Giacomo Tessaro


domenica 15 aprile 2018

Via, per il mondo

Camminare, fare lunghe passeggiate, oppure uscire, prendere i mezzi pubblici e visitare un luogo nuovo è una delle cose che desidero di più, che più mi fanno sentire vivo e in pace, eppure è tutt’altro che facile uscire dalla mia tana sporca, mettermi le gambe in spalla e andare per il mondo. Se, durante le trasferte che faccio per abitudine, dedico un po’ di tempo a deviare dalla strada conosciuta per scoprire una via mai percorsa, una vista su un fiume, una chiesa che fino ad allora avevo sempre visto chiusa, quelli sono i momenti in cui mi sento davvero di stare al mondo, assieme ai momenti in cui riesco realmente a raccogliermi in me e pregare. E allora mi chiedo come la mia volontà abbia potuto rimanere bloccata tanto a lungo, mentre fuori era bel tempo.



Recentemente, pur detestando il luogo in cui vivo e continuando, sostanzialmente, a ritenerlo un luogo da cui ritirarsi il più possibile, ho cominciato ad avvertire il bisogno di esplorare angoli poco o per nulla a me noti, stradine secondarie (ovviamente lontane dal centro), frazioni conosciute solo di nome, prati ai margini delle strade principali, straducole difficili da notare quando ci si passa di fianco in auto. I luoghi che sto così scoprendo sono come la Lucia dei “Promessi sposi”: contadini, e di bellezza modesta, lontanissimi dalle grandi città da me così amate e dalla bellezza di certe regioni italiane, inondate di luce; luoghi spesso grigi e a volte aspri, ma capaci di infondermi pace nel cuore per via della loro (relativa, s’intende) lontananza dalle beghe e dalle banalità borgosesiane. Più distaccato sto dalla vita quotidiana di Borgosesia, meglio sto, ma per questo, ho ormai scoperto, non è necessario passare tutti i weekend a Milano, tanto meno fuggire in posti esotici, magari in un viaggio in solitaria: è sufficiente sapere dove dirigere i miei passi una volta uscito dalla mia tana sporca, magari con un amico che condivide le mie passioni e che si incarica di tenermi aggiornato su ciò che accade nel paesucolo, senza costringermi ad essere più che uno spettatore più lontano della Luna.

Camminare ossigena le idee, le rende più generose, e camminare in uno scenario campestre aggiunge serenità allo scorrere dei pensieri. Certo, i pensieri ossessivi mi vengono a fare visita anche mentre faccio questa ginnastica liberante, non si possono rimuovere come file inutili, non si possono buttare come carta straccia, purtroppo, ma il quotidiano sforzo, da cui non dovrebbe essere esente il camminare nella natura, rende più agevole questo ennesimo esercizio: tenere a bada i pensieri distruttivi.



Quando cammino, cerco un luogo, delle impressioni o piuttosto me stesso? Sono tre dimensioni inseparabili, perché il muoversi dona pensieri nuovi, impressioni fresche ed emozioni inedite, e inoltre, alla lunga, non si possono non scoprire nuove dimensioni al nostro interno, gettare luce su aspetti di noi stessi prima trascurati. Il tutto con i materiali che già abbiamo e senza dover rincorrere viaggi alla moda ed esigenze altrui: basta uscire dalla tana, gambe in spalla e via, per il mondo.

Giacomo Tessaro

giovedì 1 febbraio 2018

Dieci anni e mezzo di fobia

È passato ormai il decimo anniversario di quando ho iniziato a frequentare “l’ambiente fobico/introverso”, come amo definirlo: era il luglio 2007 quando, sbarcato da circa una settimana nello storico forum Fobiasociale.com, mi misi in marcia verso Milano una domenica per incontrare il grande organizzatore di incontri fobici di quell’epoca. Avevo anche un’auto a mia disposizione, mi muovevo a un altro ritmo rispetto a oggi in cui uso perlopiù i mezzi pubblici. Luogo dell’incontro era un’assolata piazza Duomo ed era la prima volta che incontravo qualcuno conosciuto sul Web. Mi ero finalmente connesso alla Rete da otto mesi e la mia avventura da navigatore, che si interseca con le altre avventure di questi ultimi anni, avrebbe conosciuto molte fasi; del resto, anche la mia frequentazione dell’”ambiente” avrebbe visto degli alti e bassi notevoli, ma per ora, in quell’assolata domenica di luglio 2007, avevo solo voglia di conoscere gente che non mi giudicasse per la mia timidezza e chiusura, come aveva fatto anni addietro una persona che avevo frequentato per molto tempo; volevo solo rompere l’isolamento in cui mi ero rinchiuso dopo l’abbandono dell’università, e quale posto migliore di Milano, la città che ho sempre amato?

Non ricordo affatto di cosa parlammo quel giorno, salvo forse un paio di frasi, ma poco importa: quel giorno forse è cominciata davvero la seconda fase della mia vita, non il momento in cui il mio computer si è connesso a Internet. Per un certo periodo gli incontri sono fioccati: San Babila (dove ho incontrato per la prima volta l’amico che ho frequentato più a lungo), i Giardini di Porta Venezia, la Rotonda di via Besana… sono tutti pezzi di storia fobica, di storia personale, di vita vissuta in un mondo fatto altrimenti di grande isolamento. Non tutte le persone incontrate mi sono state simpatiche, qualcuna l’ho vista una sola volta, altre mi hanno lasciato cicatrici, ma di tutte conservo una memoria affettuosa: è anche grazie a loro che la mia vita da navigatore ha acquisito per la prima volta lo spessore della vita vissuta davvero.

Molti fobici e fobiche sono passati sotto i ponti in questi dieci anni e mezzo. Nel frattempo ho conosciuto altri ambienti, altri interessi, alcuni compatibili con un introverso, se non con un fobico lieve, altri no. Ho sempre cercato di far conoscere, per quanto possibile, la mia frequentazione del gruppo fobico e della filosofia dell’introversione di Anepeta, che ho cercato di incarnare in modo coerente. Ho quasi sempre incontrato rispetto, soprattutto da parte delle persone non più giovanissime: credo che il fatto che molti giovani fobici e fobiche abbiano a che fare con persone giovani come loro, senza la possibilità di confrontarsi con persone più mature, abbia il suo peso nella loro disperazione e nel loro odio verso la loro identità introversa: i giovani hanno il morbo della socialità a tutti i costi e non hanno la pazienza di stare a sentire chi è portatore di una visione e di un modo di vivere diversi. Anche il confrontarsi con persone scarsamente preparate ed empatiche non fa bene a una persona introversa. Il miglior modo di uscire dall’isolamento è trovare anime affini, che non necessariamente la pensano allo stesso modo, ma con le quali ci si possa confrontare senza paura. Non nascondendo le mie fobie e la mia introversione, ho trovato molta più comprensione di quanto i fobici si aspettino generalmente, anche da parte di persone estroverse: è solo mostrando se stessi in piena luce che chi veramente è in grado di apprezzarci potrà farlo nel migliore dei modi.

Non rinnego la mia avventura con i fobici: tornassi indietro, però, la vivrei in modo molto diverso, la limerei alquanto, troppi errori ho fatto, troppa fiducia a persone che non la meritavano, troppe persone valide lasciate andare. Ma questo è il gioco della vita, che tanto più da introversi vale la pena vivere fino in fondo, accantonando per quanto si può (non dico sempre) la tentazione dell’isolamento.

Giacomo Tessaro